Virginia Woolf: le frasi e le citazioni celebri della scrittrice

2022-08-19 20:54:06 By : Mr. Frank Liang

Home / Amore e psicologia / Psicologia

Virginia Woolf è stata una delle scrittrici britanniche più celebri della storia, oltre che una grandissima attivista per la parità di genere, famosa per le sue battaglie per l'uguaglianza ma anche per il suo stile ultramoderno dell'epoca. Abbiamo deciso di raccogliere le frasi e le citazioni più belle di Virginia Woolf, affinché la sua vita meravigliosa possa ispirarti a grandi imprese.

Virginia Woolf è stata una delle più importanti scrittrici britanniche della storia. Non solo i suoi romanzi sono tra i più letti e amati della letteratura britannica, ma le sue lotte attiviste per la parità di genere hanno aperto la strada alle femministe successive. Virginia Woolf fu anche una grande saggiata e infatti uno dei suoi saggi più importanti e diventato, nel tempo, anche un vero e proprio manifesto femminista sull’ingiustizia nella letteratura. “Una stanza tutta per sé” fu pubblicato nel 1928 e fu un saggio sperimentale molto discusso. Nelle sue pagine, Virginia Woolf parlò senza fronzoli e con grande modernità della condizione femminile, dell’ingiustizia che riguardava le donne nell’arte e nella letteratura. In questo saggio, infatti, Virginia Woolf sottolineò che il sesso femminile viveva in grande povertà e che l’unico modo in cui una donna poteva scrivere, era quello di avere una stanza tutta per sé e di denaro con cui finanziarsi, due cose impossibili all’epoca. Durante le sue riflessioni, Virginia Woof decise di parlare di tutte le grandi autrici del passato e della sua contemporaneità che, per poter scrivere, avevano dovuto persino cambiare nome. Uno stereotipo dell’epoca era quello di poter pubblicare solo con l’anonimato o con uno pseudonimo maschile, perché la letteratura era prerogativa femminile. Tra queste autrici cita le sorelle Brontë (che pubblicarono con il nome di Currer, Ellis e Acton Bell), Jane Austen (che usò il nome A. Lady), Mary Ann Evans (che fu più famosa come George Eliot), Louisa May Alcott (A. M. Bernard), Mary Shelley (che pubblicò a nome del ben più famoso marito, Percy Shelley). Abbiamo decido di dare lustro a questa grande e coraggiosa autrice, riunendo le sue citazioni e frasi più celebri. Ma nel frattempo guarda questo video: le autrici del passato non sono le uniche celebrità ad avere cambiato nome per poter diventare famose!

Il tuo browser non può visualizzare questo video

A proposito di nomi non del tutto reale, Virginia Woolf nacque col nome di Adeline Virginia Stephen nel 1882 a Londra. Entrambi i suoi genitori erano alle seconde nozze, essendo entrambi vedovi: suo padre era un autore, critico letterario e storico, mentre sua madre era modella di grandi pittori. La madre di Virginia Woolf aveva avuto altri tre figli dal precidente matrimonio, mentre il padre aveva avuto una prima figlia, dichiarata poi instabile. Successivamente, al secondo matrimonio, avevano avuto Virginia, un’altra figlia e due figli maschi. Una famiglia molto numerosa. Nonostante questo, sia il padre che la madre riuscirono a fargli vivere un’ottima infanzia sia a livello economico che soprattutto culturale: il padre di Virginia Woolf era un letterato di grande fama e imparentato con il grande scrittore vittoriano Thackeray, mentre la madre era alla lontana imparentata con altre personalità di rilievo, come un servitore di Maria Antonietta. Entrambi i genitori decisero di crescerli secondo i precetti dell’età vittoriana, quindi grande floridezza artistica e culturale, ma senza scuole pubbliche. La madre insegnò a Virginia e ai fratelli latino e francese, il padre la iniziava a letture di tutti i tipi.

Virginia Woolf dimostrò interesse per la scrittura e la letteratura fin da subito e con il fratello Thoby creò un giornalino casalingo, dove scrivevano storie inventate e un diario di famiglia. In alcuni scritti, Virginia Woolf sottolineò che quelli dell’infanzia erano i ricordi più belli, soprattutto quando andavano in vacanza in Cornovaglia, dove prese spunto per scrivere il suo famoso “Gita al faro”. Purtroppo la felicità non durò e nel 1895 perse la madre all’età di tredici anni. Purtroppo qualche anno dopo morì anche una delle sorellastre e più tardi il padre. Questo le causò un grave esaurimento nervoso. Gli abusi che subì successivamente dai fratellastri acuirono la condizione mentale di Virginia Woolf, al punto da farle scoppiare un vero e proprio disturbo bipolare, diagnosticato poi in epoca moderna, che la portò a tentare il suicidio più volte. Dopo queste situazioni e la morte del padre, decise di trasferirsi con la sorella a Bloomsbury, dove diedero vita a un primo circolo culturale e lei iniziò a scrivere per il Times. Conobbe importantissime personalità della filosofia e della letteratura, così come suo marito Leonard Woolf, teorico della politica.

Il suo circolo letterario si ingrandì e si trasferì a Hyde Park, diventando dominante nell’epoca. Nacquero le “serate del giovedì”, dove gli intellettuali si riunivano per discutere di politica, letteratura e arte. Nel frattempo, Virginia Woolf cominciò a dare ripetizioni serale alle operaie e si avvicinava alle suffragette. Dopo la pubblicazione del primo libro, ebbe una nuova crisi e tentò il suicidio. Per farla stare meglio, il marito la convinse a fondare una casa editrice, che nel tempo pubblicò personalità come James Joyce, Italo Svevo, Sigmund Freud, Thomas Sterns Eliot. Nel corso del tempo, continuò a pubblicare con uno stile narrativo particolare (il flusso di coscienza) e continuò a essere un’attivista importante, pubblicando vari saggi sulla condizione femminile. Purtroppo nel 1940 pubblicò l’ultimo libro, perché le crisi depressive diventarono sempre più violente e il 28 marzo del 1941 si suicidò, riempiendosi le tasche di sassi e lasciandosi annegare. Leonard fece cremare il corpo di Virginia Woolf e lo seppellì sotto a un albero della loro tenuta. Molti anni dopo, Leonard fu seppellito al suo fianco.

Abbiamo già un po' accennato all'attività letteraria di Virginia Woolf, che era un mix tra letteratura e attivismo politico e sociale. Virginia Woolf fu certamente una scrittrice letteraria importantissima per la letteratura britannica, ma fu anche una grande saggista, oltre che una critica letteraria sulle più grandi testate dell’epoca. Virginia Woolf ebbe sempre grandissimo successo, sia di critica che di pubblico, è pubblicò gran parte dei suoi romanzi con la casa editrice fondata da lei e dal marito Leonard. Fu una delle poche autrici a essere considerata già una delle più grandi del suo secolo mentre era ancora in vita, ma fu anche ferocemente criticata perché non aveva peli sulla lingua nella sua critica. Il suo stile era altamente sperimentale, forse uno dei più avanguardisti dell’epoca, e si focalizzava sul flusso di coscienza e la profonda psicologia dei suoi personaggi più che sulla trama. I suoi romanzi furono: La Crociera (1915), Notte e giorno (1919), La stanza di Jacob (1922), La signora Dalloway (1925), Gita al faro (1927), Orlando (1928), Le onde (1931), Gli anni (1937), Tra un atto e l’altro (pubblicato postumo nel 1941)

Chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna? Ho avuto un istante di grande pace. Forse è questa la felicità. Non c’è cancello, nessuna serratura, nessun bullone che potete regolare sulla libertà della mia mente. Ogni onda del mare ha una luce differente, proprio come la bellezza di chi amiamo. Perché mai è così tragica la vita; così simile a una striscia di marciapiede che costeggia un abisso. Guardo giù; ho le vertigini; mi chiedo come farò ad arrivare alla fine. Dio, quanto soffro! Che spaventosa capacità di sentire intensamente, la mia! E se ti dicessi che sono incapace di tollerare il mio stesso cuore? A me piace passare dall’una all’altra stanza illuminata; tale è per me il mio cervello, stanze illuminate; e le passeggiate nei campi sono i corridoi… E oggi sto sdraiata a pensare. La felicità è avere un filo a cui appendere le cose… Filo che, immerso nel tesoro di un’onda, tornerebbe alla superficie ricoperto di perle. Mi serve un po’ della lingua che usano gli amanti. Non ho bisogno di parole. Di niente di preciso. Ho bisogno di un ululato, di un grido. Penso a come contiamo poco, come tutti contino poco; com’è travolgente e frenetica e imperiosa la vita, e come tutte queste moltitudini annaspino per restare a galla. Dicendole, non si rovinano forse le cose? Le donne non scrivono libri sugli uomini; un fatto che mi diede molto sollievo, perché se prima dovevo leggere tutto ciò che gli uomini hanno scritto sulle donne, poi tutto ciò che le donne hanno scritto sugli uomini, l’aloe che fiorisce soltanto ogni cento anni avrebbe dovuto fiorire due volte prima che io fossi in grado di cominciare a scrivere sull’argomento. Perché le donne sono tanto più interessanti per gli uomini che gli uomini per le donne? Amo le frasi che non si sposterebbero di un millimetro neanche se le traversasse un esercito. Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine. Eppure l’unica vita eccitante è quella immaginaria. Appena metto in moto le rotelle nella mia testa non ho più molto bisogno di soldi o di vestiti. C’è chi si rivolge ai preti, chi alla poesia; io ai miei amici, al mio cuore, a cercare tra le frasi e i frammenti qualcosa di intatto. Non sono le catastrofi, gli assassini, le morti, le malattie e l’età che ci uccidono, è il modo in cui le persone guardano e ridono, e salgono sugli omnibus. Ognuno ha il proprio passato chiuso dentro di sé come le pagine di un libro imparato a memoria e di cui gli amici possono solo leggere il titolo. Le nostre sembianze, le caratteristiche che ci distinguono, sono semplicemente cose puerili. Al di sotto tutto è buio, tutto s’allarga, c’è una profondità insondabile; ma di tanto in tanto noi saliamo in superficie ed è questo che gli altri conoscono di noi. Strano come il potere creativo metta immediatamente in ordine l’intero universo. Battere le ali contro la tempesta avendo fede che dietro questo tumulto splenda il sole. Ma la gente che piace a me si trova sempre sparsa qua e là; sono dei solitari… Solo che si riconoscono non appena si trovano assieme. Si dimenticherà di me. Lascerà le mie lettere senza risposta. Gli manderò delle poesie e lui, forse, risponderà con una cartolina. E’ per questo che mi piace. Gli proporrò degli incontri – in una piazza, sotto l’orologio; aspetterò, non verrà. E’ per questo che mi piace. Dimentico, quasi del tutto ignaro, uscirà dalla mia vita. Ed io per quanto incredibile possa sembrare, entrerò in altre vite. Gli esseri umani non procedono tenendosi per mano per tutto il cammino della vita. C’è una foresta vergine in ciascuno di noi, un campo di neve dove anche l’impronta delle zampe d’uccello è sconosciuta. Qui ci addentriamo da soli e preferiamo che sia così. Avere sempre la solidarietà, essere sempre accompagnati, essere sempre compresi, sarebbe intollerabile. Aveva alcuni momenti di nudità, in cui sembrava un’anima non ancora nata, un’anima strappata dal corpo, esitante su un pinnacolo ventoso ed esposta senza protezione a tutte le ventate del dubbio. È una cosa strana, il silenzio. La mente si fa simile a una notte senza stelle. La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo. Anche l’amore distruggeva. Tutto ciò che era bello, tutto ciò che era vero, finiva. Mi viene da pensare che questo stato, questo mio stato di depressione, è lo stato abituale della maggior parte della gente. Rigido, lo scheletro dell’abitudine sostiene da solo la struttura umana. Il mio spirito è avido soltanto di verdi campi, di sole, di vino; di starmene seduta a non far niente. Continuerò ad azzardare, a cambiare, ad aprire la mente e gli occhi, rifiutando di lasciarmi incasellare e stereotipare. Ciò che conta è liberare il proprio io: lasciare che trovi le sue dimensioni, che non abbia vincoli. Un libro, per continuare a vivere, deve avere il potere di cambiare mentre noi cambiamo. Che fonte inesauribile di piacere sono i libri per me! Credo che potrei vivere qui beatamente, leggendo in eterno. Non si trovava mai riposo quando si era se stessi, ma solo quando si era un nucleo di buio. Perdendo la propria personalità, si perdevano anche le preoccupazioni, la fretta, l’agitazione. Il non essere è simile all’ovatta, in cui sono avvolte le nostre giornate. Tutto il problema dell’esistenza consiste nel cogliere i momenti in cui le cose si fanno trasparenti e si trova la traccia. Come se, per uno squarcio improvviso, il fondo dell’essere divenisse visibile e la poesia si facesse realtà. Se ha intenzione di scrivere romanzi, una donna deve possedere denaro e una stanza tutta per sé. I sessi sono diversi; eppure si confondono. Non c’è essere umano che oscilli così da un sesso all’altro, e spesso non sono che gli abiti a serbare l’apparenza virile o femminile, mentre il sesso profondo è l’opposto di quello superficiale. L’arte è libertà da ogni predicazione – le cose in se stesse, la frase bella in se stessa; mari sconfinati; narcisi selvatici che appaiono prima che la rondine osi. L’umorismo è la prima qualità che va perduta in una lingua straniera. A volte mi piacerebbe annotare quello che la gente dice, invece di descriverla. Purtroppo dicono così poco. Troppo spesso le parole sono state usate, maneggiate, rivoltate, lasciate esposte alla polvere della strada. Le parole che cerchiamo pendono accanto all’albero: con l’aurora le troviamo, dolci sotto le fronde. Per tutti questi secoli le donne hanno svolto la funzione di specchi, dotati della magica e deliziosa proprietà di riflettere la figura dell’uomo a grandezza doppia del naturale. Avete idea di quanti libri si scrivono sulle donne in un anno? Avete idea di quanti sono scritti da uomini? Sapete di essere l’animale forse più discusso dell’universo? Fra cento anni, d’altronde, pensavo giunta sulla soglia di casa, le donne non saranno più il sesso protetto. Logicamente condivideranno tutte le attività e tutti gli sforzi che una volta erano stati loro negati. La balia scaricherà il carbone. La fruttivendola guiderà la macchina. Ogni presupposto basato sui fatti osservati quando le donne erano il sesso protetto sarà scomparso. Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci. Non devono temere di attraversare gli sterminati campi dell’irrazionalità, e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai. Ma d’altra parte, mentre voi siete così diversi e cambiate mille volte a seconda delle idee e delle risate degli altri, io invece resterò sempre cupa, nero-tempesta, viola. Sì, se vogliamo paragonare la vita a qualcosa, dobbiamo paragonarla a un volo attraverso la metropolitana lanciata a ottanta chilometri all’ora… per approdare all’altra estremità senza più una sola forcina nei capelli! Sparati ai piedi di Dio completamente nudi! Lo strano della vita è che, sebbene la natura di essa sia stata chiara a ognuno per centinaia d’anni, nessuno ne ha steso un adeguato resoconto. Mentre le strade di Londra hanno una loro carta, le nostre passioni rimangono non descritte. Chi mai incontreremo se voltiamo quest’angolo? Le domande che dobbiamo porci e a cui dobbiamo trovare una risposta in questo momento di transizione sono così importanti da cambiare, forse, la vita di tutti gli uomini e di tutte le donne, per sempre. È nostro dovere, ora, continuare a pensare. Pensare, pensare, dobbiamo. Non dobbiamo mai smettere di pensare: che “civiltà” è questa in cui ci troviamo a vivere? Con quanta interezza vivo nella mia immaginazione; come dipendo assolutamente da zampilli di pensiero che mi vengono mentre cammino, mentre mi siedo; cose che roteano nella mia mente, componendovi un incessante corte. Io non amo il mio prossimo. Li detesto tutti. Li rasento appena. Lascio che si rompano su di me come gocce di pioggia sporca. Guardare la vita in faccia sempre, guardare la vita in faccia e conoscerla per quel che è. Al fine conoscerla, amarla per quel che è, e poi metterla da parte. Senza fiducia in noi stessi siamo come bambini nella culla. E come possiamo generare questa qualità imponderabile, che è tuttavia così inestimabile, più rapidamente? Col pensare che gli altri sono inferiori a noi stessi. La letteratura è cosparsa di relitti di uomini che hanno dato importanza oltre ragione alle opinioni degli altri. Rifiutare e cedere che cosa deliziosa! Inseguire e conquistare, che cosa nobile; percepire e ragionare, che cosa sublime! Gli esseri umani non hanno bontà, né fede, né carità, salvo quando serve ad aumentare il piacere del momento. La vita non è una serie di lampioncini disposti simmetricamente; la vita è un alone luminoso, un involucro semitrasparente che ci racchiude dall’alba della coscienza fino alla fine. Sono gli abiti a portare noi, e non noi a portare gli abiti; possiamo far sì che modellino bene un braccio, o il seno, ma essi ci modellano a piacer loro il cuore, il cervello, la lingua. La bellezza del mondo ha due tagli, uno di gioia, l’altro d’angoscia, e taglia in due il cuore. Scrivere non è per niente un’arte facile. Pensare ciò che si vuole scrivere sembra facile; ma il pensiero evapora, sfugge qua e là. Non riesco a scrivere e tutti i demoni sono venuti fuori – quelli neri e pelosi. Avere 29 anni e non sposata – essere un fallimento – senza figli – e pure pazza, non scrittrice. (Lettera di Virginia Woolf a Vanessa Bell, datata giugno 1911) Verrà mai un tempo in cui reggerò alla lettura di un mio scritto stampato senza arrossire, senza rabbrividire, senza provare il bisogno di cercare riparo? Cedi le redini a ogni impulso, fai tutti gli errori di stile, grammatica, gusto, sintassi. Riversa in massa. Rovesciati. Lascia andare la rabbia, l’amore, la satira con tutte le parole che riesci a cogliere, costringere o creare, con qualsiasi metrica, prosa, poesia o borbottio che ti viene. Così imparerai a scrivere. Non si può pensare bene, amare bene, dormire bene se non si ha mangiato bene. Ho la grande e stupefacente sensazione di qualche cosa, lassù, che è “quello”. Non mi riferisco alla bellezza, non esattamente. È che la cosa basta in se stessa: soddisfacente; compiuta. È la sensazione della mia straordinarietà, di me che cammino sulla terra: dell’infinita stranezza della condizione umana. Com’era possibile che un Dio avesse creato questo mondo? si chiese. Con la mente, aveva sempre afferrato il fatto che non esistono ragione, ordine, giustizia; ma sofferenza, morte e povertà. Non esisteva a questo mondo un tradimento così vile che non venisse commesso; lo sapeva. La felicità non era duratura; lo sapeva. Me ne andrò dalla tua vita, per non farci ulteriormente del male, per non urtarci con i nostri ricatti morali, con il nostro troppo e il nostro troppo poco. Quando verrà la tua assenza mi sentirò impreparata, ancora legata a te. E tu? Che cosa farai? Ed io, su quale cuscino scioglierò i miei capelli? Dove porterò quel sorriso e la mia valigia piena di vestiti che conosci? Una frenesia nel cuore, un dubbio atroce: è finito tutto oppure non è cominciato? Fuori tutto il mondo ed ogni cosa stanno al suo posto, gli orologi girano le ore e tutto quanto il resto. Amore mio fermami, da questi pensieri troppo fragili, da queste fiale troppo complici, dai sorrisi troppo ironici, dalla troppa solitudine. Quando siamo troppo allegri, in realtà siamo infelici. Quando parliamo troppo, in realtà siamo a disagio. Quando urliamo, in realtà abbiamo paura. In realtà, la realtà non è quasi mai come appare. Nei silenzi, negli equilibri, nelle “continenze” si trovano la vera realtà e la vera forza. Ma la gente vuole qualcuno con cui ridere, pensò. Il piacere è maggiore se lo si condivide. Vale la stessa cosa per il dolore? rifletté. È questo il motivo per cui parliamo così tanto dei nostri problemi di salute, perché condividere le cose le ridimensiona? Dai un corpo esterno alla sofferenza, o al piacere, e aumentandone la superficie li riduci… Quando la vita si ritraeva per un istante, la gamma delle esperienze pareva non aver limiti. Si sentiva molto giovane; e al tempo stesso indicibilmente vecchia. Affondava come una lama nelle cose; e al tempo stesso ne rimaneva fuori, osservava. Aveva l’impressione costante di essere lontana, lontanissima, in mare aperto, e sola. Sempre aveva l’impressione che vivere, anche solo un giorno, fosse molto, molto pericoloso. Non che si sentisse particolarmente intelligente, o straordinaria. […] L’unico talento che aveva era di riconoscere la gente come d’istinto. L’unica consolazione della vecchiaia era proprio questa: le passioni restano forti come sempre, ma almeno si guadagna – alla fine! – quella capacità che dà all’esistenza il suo gusto supremo – la capacità di tenere l’esperienza nelle proprie mani, e di volgerla, con una lenta rotazione, verso la luce. Stanotte avrò il piacere di finirlo – ma perché dovrebbe essere un piacere, visto che ho goduto quasi ogni strofa, non saprei. Ma è sempre così, che il libro sia bello o brutto. È proprio vero che la poesia è deliziosa, infatti la prosa migliore è piena di poesia. I romanzi molto spesso costituiscono un antidolorifico e non un antidoto, fanno scivolare una persona in un sonno agitato invece di eccitarla con un marchio rovente. In fondo al tuo cuore, dunque, il ritmo mantiene il suo eterno battito – non è forse questo che fa di te un poeta? A volte sembra scemare fino a sparire del tutto. Ti lascia mangiare, dormire, parlare come le altre persone. Poi di nuovo si gonfia, cresce e cerca di raccogliere il contenuto della tua mente in una sola danza dominante. Stasera è una di quelle volte, La pagina è accartocciata in una palla. La penna è piantata dritta con il pennino sul tappeto. Se ci fosse stato un gatto da maltrattare o una moglie da uccidere, questo sarebbe stato il momento. Così almeno deduco dalla tua espressione feroce. Sei amareggiato, scosso, completamente fuori di te. E se devo indovinarne la ragione, direi che il ritmo, che si apriva e chiudeva con una forza tale da provocare scosse di eccitazione dalla testa ai piedi, ha incontrato qualche oggetto solido e ostile su cui si è frantumato in mille pezzi. Si è intrufolato qualcosa che non può essere reso in poesia. Credo che la cosa più importante, quando si comincia un romanzo, sia sentire non che puoi scriverlo ma che esso esiste sull’altra sponda di un golfo che le parole non possono attraversare; e che si può trarlo a noi solo a prezzo di un’angoscia che mozza il fiato. Non c’è nel petto dell’uomo passione più forte del desiderio di far pensare gli altri come lui. Più si invecchia, più si ama l’indecenza. Ahimè, una volta sull’erba, com’era piccolo, era insignificante questo mio pensiero. Ma per quanto piccolo, possedeva tuttavia quella misteriosa qualità che hanno tutti i pensieri nella sua specie: non appena immerso nella mente, immediatamente diventava molto eccitante e importante; guizzando e sommergendosi come un dardo, scintillando qua e là, creava attorno a se un turbine tale di altre idee. Non mi ascolti. Stai creando frasi su Byron. E mentre gesticoli col mantello e il bastone da passeggio, io cerco di rivelare un segreto non ancora detto a nessuno; ti sto chiedendo (con la mia schiena contro di te) di prendere nelle tue mani la mia vita e dirmi se sono condannato per sempre a provocare repulsione in coloro che amo. Perché una volta che il male di leggere si è impadronito dell’organismo, lo indebolisce tanto da farne facile preda dell’altro flagello, che si annida nel calamaio e che suppura nella penna. L’unico consiglio che una persona può dare a un’altra sulla lettura è di non accettare consigli, di seguire il proprio istinto, di usare la propria testa, di arrivare alle proprie conclusioni. Ogni segreto dell’anima di una scrittore, ogni esperienza della sua vita, ogni qualità della sua mente è scritto in grande nelle sue opere. Siamo dunque fatti in modo tale da dover prendere la morte a piccole dosi, giorno per giorno, per continuare ad affrontare l’impresa di vivere? Che cosa sono i nostri eruditi se non i discendenti delle streghe e degli eremiti che un tempo si ritiravano nelle caverne e nei boschi a distillare erbe, a interrogare toporagni e ad annotare il linguaggio delle stelle? La verità è che non sono uno di quelli che si appagano di una sola persona, o dell’infinito. La mia stanza mi annoia, così il cielo. Il mio essere sfolgora solo quando in tutte le sue sfaccettature si espone alla gente. Se non c’è nessuno, non sono più niente, mi disfo come la carta col fuoco. Mai nessuno era parso così triste. Amara e nera, a metà strada, nelle tenebre, nel raggio che portava dal sole all’abisso, forse si formò una lacrima; una lacrima cadde; le acque ondeggiarono, la accolsero e si richiusero quietamente. Mai nessuno era parso così triste. Seguire il suo pensiero era come seguire una voce che parla troppo in fretta perché sia possibile trascrivere a matita quel che dice, e la voce era la sua stessa voce che diceva senza alcun suggerimento cose innegabili, permanenti, contraddittorie. Con molto sforzo scrivo due parole completamente assurde: scrivo varianti di ogni frase, compromessi, tentativi falliti, possibilità, finché il mio quaderno sembra l’incubo di un pazzo. Le illusioni sono per l’anima ciò che l’atmosfera è per la terra. Toglietele quell’aria tenera, e la pianta morirà, i colori svaniranno. La terra su cui camminiamo è cenere estinta. È marga quella che calpestiamo, e ciottoli spietati ci feriscono i piedi. La verità ci annienta. La vita è un sogno. È il risveglio ad ucciderci. Chi ci deruba dei sogni ci deruba della vita… Qual è il significato della vita? Tutto qui — una domanda semplice; una domanda che tendeva a farsi pressante con il passare degli anni. La grande rivelazione non era mai arrivata. La grande rivelazione forse non sarebbe mai arrivata. Al suo posto c’erano piccoli miracoli quotidiani, illuminazioni, fiammiferi accesi inaspettatamente nel buio; quello era uno. Sia un bene o un male, non si può negare la presenza del cavallo selvaggio dentro di noi; andare sfrenatamente al galoppo; lasciarsi cadere esausti sulla sabbia; sentire la terra girare vorticosamente; provare veramente un impeto – di amicizia per le pietre, l’erba, come se l’umanità si fosse estinta e, per quanto riguarda uomini e donne, che vadano alla malora – è un fatto ineluttabile che questo desiderio ci afferri abbastanza spesso. E poi mi tocca sentirmi dire che ho una bella prosa! Come posso avere una bella scrittura se il mio scopo è quello di esprimere con la maggiore esattezza possibile qualcosa che non sia mai stato detto, che deve essere detto per la prima volta. E quindi rinuncio alla bellezza, la lascio come fosse un dono per la prossima generazione. Ma sono la più appassionata delle donne. Toglimi gli affetti e sarei come un’alga fuor d’acqua; come il guscio di un granchio, come una buccia vuota.Tutte le mie viscere, lucentezza, midollo, succhi, polpa, tutto scomparso. Verrei sospinta nella prima pozzanghera, dove annegherei. Toglimi l’affetto per i miei amici e il mio senso bruciante e urgente dell’importanza, dell’amabilità, della curiosità della vita umana, e non sarei altro che una membrana, una fibra, scolorita, esanime, da gettarsi via come qualsiasi escrezione. Tu mi hai dato la più grande felicità possibile. Sei stato in ogni senso tutto quello che un uomo poteva essere. So che ti sto rovinando la vita. So che senza di me potresti lavorare e lo farai, lo so… Vedi non riesco neanche a scrivere degnamente queste righe… Voglio dirti che devo a te tutta la felicità della mia vita. Sei stato infinitamente paziente con me. E incredibilmente buono. Tutto mi ha abbandonata tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinare la tua vita. Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto lo siamo stati noi. (Lettera di addio al marito) Ma ascoltate, – disse Louis, – il mondo, come muove attraverso gli abissi dello spazio infinito. Rimbomba. La striscia illuminata dalla storia è trascorsa e così i re e le regine. Noi siamo morti, la nostra civiltà, il Nilo, la vita tutta. Le nostre gocce, separate, si sono dissolte. Siamo tutti estinti, dispersi nell’abisso. Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine. Sarebbe stato impossibile... per qualsiasi donna scrivere i drammi di Shakespeare all’epoca di Shakespeare. Se il mio cervello, distratto da un’ansia o da altra causa, deve distogliersi dalla carta bianca, è come un bimbo sperduto, che gira per casa e siede a piangere sull’ultimo gradino. Nella mia mente c’è un’irrazionale scala di valori. Ma io sto ancora con la bocca spalancata, – disse Susan, – come un uccello appena nato, insoddisfatta, in attesa di qualcosa che mi è sfuggito. L’essenza dello snobismo è che vuoi far colpo sugli altri. Penso a come contiamo poco, come tutti contino poco; com’è travolgente e frenetica e imperiosa la vita, e come tutte queste moltitudini annaspino per restare a galla. Leggere è un processo molto più lungo e complicato del vedere. Forse il modo più veloce di comprendere gli elementi che usa il narratore non è leggere, ma scrivere. Sperimentare in prima persona i pericoli e le difficoltà delle parole. Io scriverei poesie d’amore anche sulle parti di te che tu non sopporti. La bellezza del mondo è una lama a doppio taglio, uno di gioia, l’altro d’angoscia, e taglia in due il cuore. Questo insaziabile desiderio di scrivere qualcosa prima di morire, questo senso divorante della febbrile fugacità della vita, che mi fa avvinghiare, come un uomo a una roccia, alla mia sola ancora. Credo che pochi siano torturati come me dallo scrivere. [...] Il mio cervello è come una bilancia di precisione: basta un granello a farlo precipitare. È concesso anche a un eroe morente chiedersi prima di morire come parleranno di lui gli uomini dopo la sua morte. Mi sento libera di proporre alcune idee e suggerimenti, visto che voi non vi lascerete limitare nella vostra indipendenza, il più grande pregio che un lettore possa avere. D’altra parte, quali leggi si possono formulare sui libri?