"Medici non bombe!" All'Università La Sapienza l'esperienza della "Brigada Henry Reeve". Vasapollo: "la risposta di Cuba alle sanzioni che colpiscono i bambini" - FarodiRoma

2022-08-07 04:12:56 By : Ms. Mandy Zhao

“Medici, non bombe!”. In un discorso pronunciato a Buenos Aires nel 2003 Fidel Castro affermava che “mai Cuba avrebbe attuato attacchi armati preventivi contro altri paesi, ma sempre sarebbe stata disposta a inviare i suoi medici in qualunque angolo del mondo in cui fossero richiesti”. A 18 anni di distanza, il governo cubano retto da una nuova generazione continua a ribadire le scelte del lider maximo: più di 1000 tra medici, infermieri e biologi cubani, divisi in 34 brigate mediche, sono stati inviati in 27 Paesi che ne hanno richiesto l’aiuto per combattere il Covid-19. In Italia, nel momento più drammatico della pandemia, la prima ondata che ci costrinse addirittura a traslare le bare delle migliaia di morti da una provincia all’altra del Paese, le brigate mediche cubane sono arrivate a  Crema, nel cuore della Lombardia, e nella provincia di Torino, per portare soccorsi.

A raccontare la missione compiuta da questi eroici volontari – candidati per questo al Premio Nobel per la pace – lo scrittore Enrique Ubieta Goméz, aggregato alla Brigada Henry Reeve a Torino, che ieri ha raccontato l’epopea dei medici cubani all’Università La Sapienza in un seminario promosso nell’ambito delle lezioni del professor Luciano Vasapollo. Ad ascoltare il suo racconto 150 studenti della Facoltà di Lettere, un’iniziativa che rappresenta in modo efficace la caratteristica dei corsi di Economia che Vasapollo tiene nella più grande università europea, dando la parola a esperienze come quella della Brigada Henry Reeve che porta il nome di un militante della rivoluzione cubana originario di New York, testimone dunque dell’internazionalismo castrista: “un patriota nordamericano che aveva combattuto nella guerra d’indipendenza di Cuba nel XIX secolo guadagnandosi il rango di generale, un uomo molto coraggioso”, ha sottolineato Vasapollo.

Un esercito di pace che oggi può contare su cinquantacinquemila dottori, i cosiddetti first responders, che finora hanno prestato il loro intervento in una settantina di paesi. Dal 1999, la formazione dei volontari avviene presso l’Elam, la Escuela Latinoamericana de Medicina dell’Avana. In quindici anni di attività, la Henry Reeve è stata presente, ad esempio, in Guinea, Liberia e Sierra Leone per l’emergenza ebola del 2014; ad Haiti per l’epidemia di colera del 2010, dove ha isolato il batterio portato lì dagli scarichi di una missione Onu; presso l’ospedale di Tararà, Cuba, ha curato oltre ventimila bambini e quattromila adulti, vittime delle radiazioni di Cenobil. “In Italia abbiamo imparato a conoscerla con il diffondersi del Covid19”, ha spiegato Vasapollo ai suoi allievi che gremivano ieri l’aula 104 del nuovo complesso della Sapienza alla Tiburtina. Un modo originale ma molto valido di aprire i confini dell’Università offrendo i “saperi” elaborati in altri paesi nello sforzo che può accomunare di promuovere la libertà e il benessere di popoli a lungo deprivati  di ricchezze naturali e più ancora della dignità. Un “furto” che in realtà continua ad opera delle multinazionali e che viene tollerato da governi e organismi internazionali che addirittura gravano chi si ribella, come Cuba, il Venezuela e il Nicaragua, di sanzioni che ieri Vasapollo ha definito “criminali” perchè condannano a morte i deboli (bambini e malati) privandoli delle medicine. Mentre proprio da Cuba generosamente i medici della Brigata Henry Reeve partono per portare soccorsi in situazioni di emergenza come quelle che abbiamo vissuto nel 2020.

“L’internazionalismo medico cubano – ha ricordato Ubieta Goméz – è praticamente nato con la rivoluzione. Nel 1960, una brigata medica andò in Cile, dove la stava aspettando Salvador Allende, che naturalmente, in quel momento, era lungi dal pensare che avrebbe raggiunto la presidenza. Poi comincia ad essere qualcosa di abituale, nel corso degli anni hanno chiesto ai medici della brigata di andare in Algeria, in Africa, in America Latina, e questo fa parte del concetto, sviluppato dalla rivoluzione cubana, in base al quale la solidarietà non deve essere qualcosa di solamente interno: deve essere interna ed esterna, deve esserci una corrispondenza tra le due cose. C’è un discorso che Fidel pronuncia all’inizio della rivoluzione, in cui dice che avremo molti medici e che saremo in grado di portare solidarietà in tutto il mondo. E questo sta crescendo sempre di più con il passar del tempo”.

“Dopo la caduta del cosiddetto ‘campo socialista’ negli anni Novanta, c’è stato – ha aggiunto lo scrittore cubano ospite della Sapienza – una sorta di arretramento della sinistra nel mondo: alcuni che erano stati di sinistra si sono vergognati di esserlo stati e molte pratiche a livello internazionale sono state messe da parte. In quel momento, Fidel Castro decide di rilanciare con più forza e costanza il sistema di aiuti medici internazionali, quando gli uragani Mitch e George si abbattono sull’America Centrale e su Haiti nel 1998. Unità mediche cubane iniziano ad apparire con grande forza in tutto il Centroamerica e ad Haiti e cominciano ad emergere diverse idee intorno a questa presenza, che si espande poi in Africa e successivamente di nuovo in America Latina. Nel 2005 un uragano molto forte colpisce New Orleans, l’uragano Katrina, e Cuba organizza una brigata: più di mille medici e infermieri che sono disposti a recarsi nella città statunitense per aiutare il popolo nordamericano. Alla fine la missione non va in porto perché il governo degli Stati Uniti non accetta gli aiuti cubani, ma da quel momento in poi questo contingente Henry Reeve, che si dedica esclusivamente agli aiuti in tempi di crisi, in caso di terremoti, epidemie, guerre civili, comincia a partire per il mondo, fermandosi in ogni posto solo per due, tre mesi, giusto il tempo necessario a fornire gli aiuti medici. Il primo Paese in cui si reca è il Guatemala ed il secondo è il Pakistan, ma poi comincia a portare aiuti in tutto il mondo. Uno dei momenti più importanti in cui è intervenuta la brigata medica Henry Reeve si può dire sia stato nel caso del virus Ebola in Africa: è stato lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite a telefonare al presidente cubano per chiedergli di assistere i Paesi africani nell’epidemia di Ebola ed è così che Cuba ha inviato 157 medici e infermieri nei tre Paesi colpiti”.

Confida Enrique Ubieta Goméz agli studenti della Sapienza: “Ho avuto la possibilità di viaggiare con loro, di assistere al loro lavoro e di scrivere un libro su questo. È stata una pietra miliare per l’altra brigata e un’altra tappa fondamentale è stato senza dubbio l’intervento per il Covid-19, un’epidemia che non è ancora finita, che è ancora presente. Cuba ha inviato brigate in 39 Paesi del mondo per aiutare a sradicare il Covid-19 e per la prima volta nella storia sono state inviate brigate nei Paesi del ‘primo mondo’, del ‘G7’, come l’Italia”, dove le due Brigate inviate “sono andate in Lombardia e in Piemonte e hanno prestato servizio in questi luoghi in forma assolutamente gratuita. Né il governo cubano, né i medici e gli infermieri cubani hanno ricevuto un solo centesimo per questo lavoro. E questo pur arrivando in un paese ricco da un paese povero, per giunta vittima di un embargo economico e commerciale imposto dagli Stati Uniti e spinto alle estreme conseguenze dalla presidenza Trump, che ha cercato di soffocarci proprio nel momento in cui cercavamo di essere solidali con gli altri. Questa – ha concluso lo scrittore – è la storia, in sintesi, di questo nostro appoggio internazionalista”.

Al seminario promosso dal professor Vasapollo si è parlato anche della disinformazione sistematica su Cuba con il contributo della giornalista Daynet Rodriguez che dirige il portale Cuba Sì che contro le fabbriche delle fake news è impegnato. Il saluto dell’Ambasciata Cubana è stato portato da Yadira Trujillo e quello della Sapienza dal professor Fernando Martinez, presidente del corso di laurea in Scienze del Turismo.

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