Pantelleria: un paradiso enoico da scoprire e tutelare

2022-07-29 20:48:10 By : Ms. Ivy Li

Siamo stati a Pantelleria, la perla nera incastonata tra la Sicilia e la Tunisia, nella fascia del sole più ruvida e selvaggia. Le aspettative la vogliono piena di marinai e invece trabocca di contadini, è una terra vulcanica che ha cambiato faccia almeno tre volte, come un’eterna fenice, in una perenne alleanza fatta di uomini e pietre.

Bastano pochi attimi per restare incantati dalla bellezza di un luogo così straordinario. Ogni sfumatura qui, al centro del Mare Nostrum, si illumina dei colori più autentici, dal blu intenso del mare che lambisce le coste, al nero delle rocce di ossidiana che prendono forma in giardini arabi, terrazzamenti e dammusi immersi nel verde delle coltivazioni. Il Parco di Pantelleria, il primo parco nazionale in Sicilia, offre percorsi di trekking unici per immergersi in questo mondo naturalistico, archeologico e storico, dove fatica e abnegazione hanno tramutato la complessa morfologia dell’isola in uno dei paesaggi agricoli più armoniosi del Mediterraneo. Per viverci e coltivare la vite, il cappero (una visita al Museo del Cappero, il fiore simbolo di Pantelleria, è d’obbligo per comprendere quanta dignitosa devozione alla difficoltà del lavorare la terra occorra per produrlo), l'ulivo e gli agrumi, generazioni di contadini hanno modellato l'orografia del territorio e plasmato le sue forme di allevamento, contrastando la lontananza dal continente e i principali fattori climatici: il vento e la scarsità di piogge.

L’impegno dell’uomo per rendere a sua misura questa contesto produttivo impervio è stato senz’altro valoroso: la vigna, qui, può contare solo sulle braccia dell’uomo, non esiste macchina che possa sostituire il contadino e la sua sensibilità produttiva. Sui terrazzamenti, spesso con pendenze estreme, la vite viene allevata al di sotto del livello del suolo di pietra pomice - il soki soki come lo chiamano i locali - in una larga conca necessaria a trattenere l’acqua e a riparare la pianta dai venti di scirocco e di greco levante che soffiano impetuosi e incessanti. L’uva coltivata seguendo questa forma primitiva, ma tuttora efficientissima, è lo Zibibbo, il Moscato d’Alessandria che conosciamo per la produzione del celebre Passito di Pantelleria, erede di un retaggio culturale magrebino di essicazione dei frutti e della sapienza italica nell’arte del vinificare.

Per difendere, tutelare e rilanciare questa forma di viticoltura eroica, basata sulla capacità di gestire l’ambiente e la natura in un armonioso equilibrio, le aziende vinicole più rappresentative del territorio hanno costituito il Consorzio Volontario di Tutela e Valorizzazione dei vini a DOC dell’Isola di Pantelleria. Un ente composto da 22 produttori che in un dichiarato intento di salvaguardia colturale si fa portavoce, oltre che di un’approfondita analisi clonale delle uve, anche del recupero dei tipici terrazzamenti sui quali i vigneti ad alberello dimorano da secoli, testimoni di una pratica agricola che dal 2014 è bene immateriale dell'umanità protetto dall'Unesco.

E qui, dove anche l’umanità è patrimonio, l’intensità organolettica dei prodotti della terra non ha eguali. Figli di una natura così forte, sprigionano un ventaglio armonico di sapori che richiamano le culture dei diversi popoli che l’hanno conquistata: sesi, fenici, saraceni, arabi (i primi ad introdurre la vite) e bizantini. Le contrade in cui ancora oggi è frammentata, portano infatti nomi musulmani: Bukkuram, Mueggen, Khamma, Rekhale, Gadir, Kattibuale. Le percorriamo sulle tracce di uno dei più amati vini da dessert italiani, prodotto nel 2021 in 1.423 ettolitri da poche decine di aziende, tra queste Murana Vini, Marco De Bartoli, Abraxas Di Prosit, Donnafugata e Cantine Pellegrino, ognuna dislocata in zone differenti con caratteristiche territoriali analoghe ma peculiari, di cui proviamo a delineare l’essenza.

Salvatore Murana è un po’ il genius loci, una leggenda del panorama vitivinicolo isolano. Lo incontriamo a Mueggen, nel suo dammuso del diciottesimo secolo - la tipica abitazione con il bianco tetto a cupola per preservare l’acqua piovana, un bene prezioso qui - durante la cena di benvenuto, una successione di piatti della gastronomia locale preparati esclusivamente con i prodotti dell’orto adiacente, a km 0, afferma orgogliosamente Salvatore. Abbiamo assaggiato il suo sbalorditivo Creato 1983 e un piacevolissimo Spumante Metodo classico di Zibibbo che supera i 55 mesi di affinamento, il Matuè Pas Dosè 2015, una delle prove sperimentali di microvinificazioni condotte sul posto dal Vivaio Governativo Federico Paulsen. Scopriamo così un’idea inconsueta di antispreco: l’utilizzo di racemi, ossia il secondo frutto della vite, grappolini che maturano a fine settembre circa un mese dopo la produzione principale e che solitamente rimangono sulla pianta (la vendemmia avviene infatti già nel mese di agosto affinché i grappoli raccolti possano essiccare sui tradizionali stinnituri). Uno spumante sicuramente diverso dalle bollicine più blasonate, con il marcato carattere dello Zibibbo che si esprime in profumi di zagara, agrumi e note iodate.

L’indomani a Bukkuram (“Il padre della vigna” in lingua araba) alla volta di Marco De Bartoli, uno dei primi visionari a venire a produrre in questo suolo negli anni 80. Ci accoglie la figlia Giuseppina De Bartoli, che assieme ai fratelli mantiene la tradizione famigliare nella coltivazione, cura, vendemmia ed essicazione delle uve «come avrebbe voluto papà». Tutti i loro vini nascono con fermentazioni spontanee e da lieviti indigeni. Tra i pochi ad invecchiare il passito in legno di fusti di rovere per 3 anni, il Bukkuram Padre della Vigna 2014 (che dal 1984 nasce nelle grandi annate) è un vino da meditazione, quasi disarmante per la complessità del suo bouquet, magnificamente armonico ed equilibrato.

Inoltrandoci nella parte più collinare, in contrada Cuddia Randazzo, troviamo le Cantine Abraxas, ora proprietà di Prosit che ha recuperato 16 ettari vitati in stato di abbandono destinandone dodici all’allevamento di uve a bacca nera tra cui Nero d’Avola, Merlot, Alicante, Carignano, Grenache e Cabernet. Da questo interessante esperimento nasce Vipera 2021, una vendemmia tardiva di Nero d’Avola che ben rappresenta i contrasti microclimatici del posto, di grande struttura, ha un sapore morbido con tannini dolci e una discreta acidità che accarezza il palato.

Ci spostiamo a contrada Khamma dove in un anfiteatro naturale di 13 ettari che si arrampicano verso il monte Gibele, la cantina della famiglia Rallo si erge a esempio di architettura sostenibile perfettamente integrata nel paesaggio. Abbiamo avuto il piacere di inaugurare il “Cammino di Khamma”, una passeggiata tra i muretti a secco per osservare da vicino le principali piante che identificano la vegetazione naturale tipica: Euphorbia, Lentisco, Fillirea, Caprifoglio, Tè siciliano, Ginestra villosa, Dafne Gnidio. Un’occasione unica per ammirare anche il cappero e secolari ulivi striscianti. Sostenibilità, difesa del paesaggio, redditività della coltivazione della vigna sono gli elementi istitutivi di cui Donnafugata è ambasciatrice. Sorseggiare il Ben Ryè 2009 all’ombra di un’unica, spettacolare pianta di arancio centenaria all’interno di un meraviglioso giardino pantesco è un’esperienza toccante. Non servono presentazioni per questo favoloso vino icona, ambrato brillante e nobile, di magnifica sapidità, pregevole freschezza e proverbiale persistenza. Da gustare a brevi sorsi.

Concludiamo la nostra visita con un’altra istituzione del panorama vitivinicolo pantesco, Cantine Pellegrino, che dal ‘92 assorbe una grande fetta della produzione vinicola locale. La famiglia Pellegrino, per scelta, non ha mai voluto acquistare terreni propri sull’isola. Ha preferito affidarsi alle tradizioni dei suoi conferitori, custodi e detentori di un sapere millenario tramandato da generazioni. Dallo scorso anno la cantina vanta il più grande impianto fotovoltaico privato ad energia rinnovabile, attualmente l’unico qui al servizio di un’attività produttiva. Il loro Nes 2020 (“miracolo” in ebraico) rappresenta una delle versioni più pregiate del Passito. È un vino avvolgente, dolce e morbido, di grande complessità e persistenza. Bellissimo.

Benedetto Renda, presidente di Cantine Pellegrino e del Consorzio di Tutela, ci spiega assieme alla moglie Caterina Tumbarello: «Questo è un contesto che richiede un impiego molto elevato di manodopera, un monte ore di lavoro per unità impiegata che supera di almeno tre volte quelle necessarie alla coltivazione di un normale vigneto sulla terra ferma - si stimano circa novanta giornate lavorative ad uomo per lavorare un ettaro - purtroppo sempre meno giovani si affacciano al mondo agrario e all’enologia. Siamo passati da 5.000 ettari vitati negli anni ‘80 (di cui alcuni convertiti in case vacanza e molti abbandonati) ai 407 ettari di ora. È fondamentale che i giovani studino viticoltura e poi tornino per mettere in pratica le competenze acquisite». Affinché questo incredibile patrimonio immateriale abbia un futuro il Consorzio ha deciso di finanziare quattro borse di studio destinate a giovani residenti a Pantelleria per la frequenza di corsi di studio superiori e universitari in materia agraria ed enologica. Saranno loro, futuri protagonisti del ricambio generazionale dell’isola, a scongiurarne il lento abbandono, a salvare le radici degli uomini e delle vigne, conservare l’espressione più antica dell’agricoltura mediterranea e lasciar convivere questo piccolo eno-sistema con la sua stessa storia.

Veneta di Bassano del Grappa, dopo un Master in Food & Wine Communication entra nell’estate 2016 nello staff di Identità Golose. Diplomata Ais (Associazione Italiana Sommelier), ora vive in Sicilia, per amore, e scrive dell’unicità dei sapori e delle persone di questa terra

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