Origliare la fine dell'estate sulle sponde del lago di St. Moritz | Elle Decor

2022-09-02 20:48:02 By : Mr. Garfield Zhao

Passeggiata tra le poche persone rimaste nel paese dell'Engadina, mentre l'arte e il cinema provano a reinventare la bassa stagione

Per assistere alla fine accelerata dell’estate, andare a St. Moritz ad agosto. Il sole splende e brucia la pelle a mezzogiorno, ma dopo il tramonto le temperature sono invernali. Soprattutto, c’è un’aria da fine vacanza che da noi ci si ostina a non vedere, rimandando tutto a settembre. Qui influisce l’atmosfera vagamente malinconica del lago, e le presenze sparute che nulla hanno a che vedere con i pienoni invernali.

A St. Moritz il mondo vacanziero è alla rovescia: furore e splendore nella neve; calma, pace e una punta di noia sotto il sole. Si arriva da Tirano, al confine, con il Bernina Express, fiabesco trenino rosso che serpeggia tra valli e alture, mostrando laghi, cascatelle, foreste di abeti, vette affilate e quel che resta dei ghiacciai. Lungo la via si capisce già cosa si troverà: coppie di anziani che passeggiano per i sentieri, coppie attempate in bicicletta sportiva, coppie meno attempate che si rinfrescano in un ruscello.

St. Moritz riflette questo ritmo lento, questa richiesta di pace: poca gente, la stagione è finita, “adesso è tutto morto”, mi dice un tassista italofono che non fa tanti complimenti. Scoprirò che sono gli unici a dire la semplice verità, rifiutando i toni eternamente ottimisti da ente del turismo. “In inverno è tutta un’altra storia”, prosegue, “ma chissà se verranno i russi quest’anno”. Già, i russi, la principale voce dell’economia turistica. Torneranno? La risposta, un po’ difensiva, è unanime in tutti quelli a cui chiedo, dal concierge alla personalità culturale di spicco: “St. Moritz è vittima di questo cliché secondo cui qui verrebbero soltanto i russi facoltosi. Non ci sono soltanto loro. È vero, c’è un lusso esuberante, ma c’è anche molto understatement”, dice Stefano Rabolli Pansera, fondatore e direttore di Smaff, il St. Moritz Art Film Festival, che con la prima edizione dal 25 al 28 agosto cerca di invertire il traffico in Engadina. “Da una stagione all’altra si passa dalle moltitudini al deserto”, continua, “soprattutto adesso che è bassa stagione. Smaff vorrebbe trattenere i visitatori, o anche farli arrivare apposta”. Una scommessa che si potrebbe vincere, con Art Basel che inaugura l’estate e Smaff che potrebbe chiuderla, e l’intera Engadina che comincia seriamente a dedicarsi all’arte contemporanea come voce di un turismo diverso, probabilmente più giovane e vivace.

“Qui ci venivano Nietzsche e Thomas Mann, ma anche oggi l’Engadina è meta di artisti e intellettuali, come Gerhard Richter, Albert Oehlen e Julian Schnabel”, spiega Fritz Steinhart, fondatore della galleria theStable. Il figlio di Schnabel, Vito, ha una galleria proprio a St. Moritz, mentre Oehlen quest’anno passa di qui con un motivo in più: è autore del film The Painter, scelto da Rabolli Pansera per il festival. Steinhart, invece, è la tipica figura del gallerista imprenditore, sempre più frequente da queste parti. Ha fondato theStable a S-chanf, 20 minuti di macchina da St. Moritz, un grande spazio coperto da assi di legno che lasciano entrare luce e aria. “In inverno ci entra anche la neve, e ogni volta devo mettere in sicurezza le opere”, sorride ma il progetto che ha in mente è chiaro: va bene l’arte contemporanea, ma niente white cube qui, l’Engadina si deve vedere. E ha ragione, tutto intorno ci sono le montagne e anche un piccolo fiume con l’acqua azzurrissima. L’idea di Steinhart è portare qui gli artisti emergenti, i grandi ci sono già, e di passare da una programmazione soltanto estiva a una che copra tutto l’anno. L’inverno è la stagione delle folle, bisogna cogliere l’occasione.

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Va bene, i giovani forse verranno, ma per adesso è interessante passeggiare tra le poche persone rimaste a St. Moritz, vecchie coppie foderate di nylon con le biciclette lungo il lago, e vecchie coppie ben ingioiellate più su, in centro. Qui, seduti a pranzo, si possono origliare con agio i discorsi da tavolo a tavolo di signore gioviali che fanno amicizia e raccontano i fatti propri en plein air. La mia preferita è vestita di rosso vivace, ha i capelli corti tinti di biondissimo, una fascia-turbante in tinta e due orecchini d’oro, a cerchio, coronati di perle. È la più loquace e tiene banco, fa domande soltanto per monologare meglio: “Io invece mi sono sposata tre volte”, dice toccando il braccio del terzo fortunato, opportunamente silenzioso. “Sono nata in Spagna”, dice in spagnolo, “lui invece è di Monaco”, aggiunge in inglese. “Io non parlo tedesco e lui non parla spagnolo, ci parliamo in inglese”. Passa con agio dalla lingua madre all’inglese, poi ordina in un tedesco elementare qualcosa al cameriere, saluta chiunque arrivi e chiede la provenienza, esercitando le lingue. Si rivolge a me in italiano: “Io amo Italia”. La vera lingua franca, qui, è proprio l’italiano. “Lo parlano tutti”, mi aveva detto un tassista, “tutti quelli che lavorano qui sono italiani, tassisti, camerieri, commercianti”. Lo parlottano anche le signore cosmopolite che trascorrono l’anno in giro per il mondo, ché il denaro non ha patria ma ha ovunque cittadinanza.

La signora almodovariana quest’anno è già stata a Haifa “per un bar mitzvah”, poi in Spagna, per ritrovare origini e vecchie sorelle, ora qui, per il fresco e per finire la stagione. Poi chiede all’altra, in inglese: “dove alloggiate quando siete a Miami?”. Ah, ecco la soave domanda che si facevano in continuazione i giramondo di una volta, la questione dello “scendere negli alberghi” cara al club dei fortunati. Sono nel posto giusto per sentir volare una frase che credevo scomparsa: St. Moritz, con i suoi castelletti, le sue macrobaite di pietra e legno e qualche incongruo condominio di cemento, non sembra un paese di abitanti. È un paese di alberghi che non prevede cittadini, soltanto clienti. E quando finisce l’estate, per quanto si sforzi con il sole, i festival e le gallerie nuove, non sfugge all’aria da sanatorio di lusso. Però che simpatica questa signora allegra nella vaga mestizia collettiva, che racconta dove è stata ma non dice dove vive, che parla tutte le lingue senza essere madrelingua, sempre ospite e mai indigena. Mi sembra all’improvviso un’immagine della Svizzera.