Travolgente e sexy, Lovetrain 2020 di Gat è quasi un musical pop - La Stampa

2022-10-07 21:52:28 By : Ms. Sarah Chen

La voce de La Stampa

In scena alle Fonderie Limone per Torinodanza

«Coreografare è come fare una pizza» sostiene Emanuel Gat. «Si tratta di trovare il giusto equilibrio fra gli ingredienti: impasto, pomodori e mozzarella». Dunque Emanuel Gat é un pizzaiolo sopraffino a giudicare da “Lovetrain 2020” lo spettacolo su musica dei Tears For Fears, andato in scena alle Fonderie Limone per Torinodanza (replica ancora stasera). Musica, gesto, coreografia si tramutano qui in un processo creativo compiuto, una «struttura cinetica che è una entità a sé» per citare ancora le parole del coreografo.

Nato in Israele da famiglia di origini marocchine, prima sportivo, poi studi da direttore d’orchestra, scopre la danza tardi, a 23 anni, dopo il servizio militare. Ma recupera in fretta. la sua compagnia è basata nel sud della Francia dal 2007. E Gat è oggi una delle personalità di spicco della scena coreografica europea. Lo si è constatato quando fu invitato alla Biennale Danza di Venezia, oppure a Bolzanodanza questa estate dove ha presentato “Act II&III or the The Unexpected Return Of Heaven And Heart” ed ha superato ogni rischio confrontandosi con il secondo e terzo atto di “Tosca” (edizione con Maria Callas, Tito Gobbi, Carlo Bergonzi, per non farsi mancare niente).

Lo si è rivisto alle Fonderie dove ci ha regalato un tuffo negli anni 80 con la musica della band inglese: una collana di pezzi affrontati con una danza spettacolare, accattivante, travolgente dei quattordici interpreti. Quasi un musical pop.

Pannelli neri verticali sullo sfondo alternati a squarci di luci (disegnate da Gat stesso) dai quali sbucano i danzatori i cui costumi (Thomas Bradley, Wim Muyllaert) lasciano spesso i toraci nudi per coprire la parte inferiore del corpo con gonne ampie, fastose, drappeggiate che però si aprono e mettono in esposizione le gambe.

La spettacolarità, il senso della scena, le scelte sexy sono la specialità della maison Gat. La danza sgorga, zampilla inarrestabile, piena di inventiva, nei momenti di insieme per lasciare poi il posto ad almeno un paio di assoli maschili che coniugano lentezza ed energia: memorabile il solo del danzatore in giallo.

Oppure il ritmo cambia per collocare la compagnia compatta, in fila, sullo sfondo e farla avanzare lentamente: come un coro di tragedia greca. O ancora tutto si blocca in gruppi statuari. Ma quando si danza il gesto è gioioso, sottolineato dalle braccia tenute sempre ampie e dai sorrisi che si scambiano i danzatori. E non è mai un gesto che “rifà” la musica, la segue pedestremente, ma si sviluppa indipendente. Dimostrando la grande creatività e autonomia artistica dell’autore.

Un rapporto libero e ad armi pari con la musica dunque. Anche quando si tratta di composizioni “ingombranti”. Come Gat ha ben saputo dimostrare quando ha affrontato e vinto per esempio il confronto con “La sagra della primavera” di Stravinsky a passi di Salsa cubana: cinque interpreti impegnati nello spazio di una ampio tappeto. Scandalizzando i tradizionalisti ma con grande entusiasmo del pubblico. Come si è ripetuto puntualmente alle Fonderie Limone.