san Gennaro raccontata dai Napoletani - Famiglia Cristiana

2022-07-29 20:47:49 By : Mr. Cloud Zheng

Le reliquie del Santo protettore della città, e il suo tesoro di inestimabile valore, da far impallidire perfino i gioielli della corona inglese, conservato in una cappella che è parte della cattedrale, ma non le appartiene, perché  appartiene al popolo di questa città dove “niente è come sembra”, e viene gestito da un organismo laico da 500 anni, la Deputazione, che non ha paragoni altrove, per garantire il rispetto di un contratto stipulato direttamente tra la città e il Santo. Un patto di sangue, ma anche firmato davanti a un notaio. Tutto questo può accadere solo a Napoli dove “li fatte - come ricorda Annetta nella commedia di Eduardo Il figlio di Pulcinella, si fanno comme se fanno a Napule”.  E non altrove.

Questo e tanto altro sta dentro la straordinaria, unica storia della Cappella di San Gennaro, dove insieme sta scritta la devozione, l’arte, le vicissitudini pubbliche, ma anche privatissime di un’intera metropoli, lungo sette secoli.

Come diceva Guido Piovene, quello di Napoli è un popolo che ha confidenza col sacro, che significa, in questo caso, col Santo Protettore. Così tanta che Gennaro, che può essere chiamato come "faccia gialla",  è circondato e seguito dalle “parenti” che si rivolgono a lui, chiamandolo confidenzialmente “figlio mio”. Confidenza e visceralità  che altrove sarebbero quasi in odore di sacrilegio. Ma non qui.

E oggi questa epopea cittadina che trasuda fede semplice e diplomazia, tradizione popolare e quarti di nobiltà, ingegno e cultura partenopea, sta anche dentro la nuova “audioguida” che accompagna il visitatore dentro la Real Cappella del Tesoro del Santo. Un nuovo modo di raccontare il luogo più “sacro” per i napoletani. Una narrazione atipica, suggestiva nel senso letterale del termine, che alla voce asettica che crea le didascalie a quanto si vede, ha preferito animare il racconto con le voci di chi è stato “testimone”  e protagonista del farsi di questo tesoro, delle atmosfere del posto, con l’uso del dialetto e un’immersiva esperienza musicale, tutta targata Partenope.        

 E allora il percorso inizia dove tutto ha inizio:  dal tesoro vero”, come sottolinea l’abate della Cappella, Monsignor Vincenzo de Gregorio, fine musicista e musicologo: “le reliquie di San Gennaro, cioè le ossa del cranio contenute  nel trecentesco busto angioino esposto nella cappella progettata dall’architetto Francesco Grimaldi, un vero scrigno del barocco napoletano, e ovviamente le due ampolle col sangue conservate nella teca-cassaforte dietro  l’altare”.  Questa è la Cappella del tesoro, infatti. Tutto quanto segue, cioè quanto è visibile nella stessa Cappella, e poi nella splendida sacrestia e nel museo, è il tesoro “materiale”, cioè la collezione delle opere artistiche e dei doni devoti, oggetti di culto e devozione in oro, argento, pietre preziose, da quelli sfarzosi dei potenti, dei regnanti, di principi e regine, che si recavano a rendere omaggio al Santo, a quelli più modesti, ma ancor più ricchi di significato, dei più piccoli tra i popolani riconoscenti al Santo per una qualche grazie ricevuta. Dal 1527, anno del voto solenne a San Gennaro, e dell’edificazione della Cappella, tutto quanto è stato donato al Santo viene raccolto e custodito dalla Deputazione. Nulla è stato mai ceduto, venduto o rubato. E anche questo è fatto eccezionale. “Ma chi potrebbe  fare uno sgarro del genere a San Gennaro?”, spiega il vicepresidente  della Deputazione, il duca Don Riccardo Carafa D’Andria, 85 anni, discendente della famiglia napoletana che diede un papa, Paolo IV, e ben 14 cardinali. E’ lui che spiega il segreto della popolarità di San Gennaro: “Napoli non ha mai avuto un suo re, un napoletano al trono, e allora noi napoletani non possiamo avere  fiducia nel potere politico, che qui ha sempre razziato, portato via. Così il “re”, per noi, è il Santo. Che funge, inoltre, benissimo da intermediario con Dio, che ci metta una buona parola, come si dice, perché i napoletani sono timidi con Dio”. Immagine straordinaria che dice tutto.

     Il Tesoro è composto da pezzi incredibili come la mitra, il copricapo vescovile di San Gennaro: 3326 diamanti, 198 smeraldi e 168 rubini, del peso di 18 chilogrammi; o come la collana di San Gennaro, che raccoglie da sola, unendo i doni di re, regine 250 anni di storia dell’Europa a Napoli, ma tra diamanti, e altre pietre preziose c’è pure  il dono di unumile popolana scampata  al colera del 1884 che donò al Santo i suoi due orecchini con perle e brillanti: cioè tutto quello che aveva di prezioso e di più caro.

   Anche questo è il Tesoro di San Gennaro: collezione di capolavori di oreficeria, e d’umanità riconoscente. E questa storia di coronati e proletari napoletani riecheggia nel racconto di “Un tesoro di audioguida”,  prodotto per la Deputazione da D’Uva, marchio fiorentino che ha inventato nel 1959 questo modo di  accedere ai capolavori dell’arte e dell’architettura.  Il nuovo percorso audio ha scelto un inconsueto registro narrativo, emozionale, quasi confidenziale, che valorizza il messaggio di artisti, committenti e devoti nella lunga storia della Tesoro.  L’originalità  della narrazione inizia dalle voci:  il nuovo percorso è interpretato da artisti e personaggi napoletani. Prestano la voce gli attori Toni Servillo, Nunzia Schiano e Patrizio Rispo, lo scrittore Maurizio di Giovanni; con loro il Duca Don Riccardo Carafa e monsignor  Vincenzo de Gregorio. Schiano e Rispo, poi, hanno dato voce anche a una versione dell’audioguida in napoletano.

   Non poteva mancare la musica, per raccontare un luogo che per secoli fu teatro di produzione ed esecuzione musicale che diede lustro internazionale alla città. All’estro e alla sensibilità del musicista e compositore Antonio Fresa, anch’egli nato sotto il Vesuvio, è stata affidata la composizione di 12 brani originali che fanno da tappeto sonoro visionario per altrettante tappe dell’audioguida, e che sono diventati anche un cd pubblicato da Adesiva Discografica.  Nel suo lavoro intitolato ”Tesoro di San Gennaro, a soundtrack experience”  Fresa ha voluto coinvolgere tre noti artisti napoletani: Raiz, Eugenio Bennato e Pietra Montecorvino, che hanno cantato in tre brani dell’autore. Tre apparizioni che illuminano tre  vicende particolari legate al Tesoro: quella di Maria Teresa d’Asburgo che regalò al santo uno splendido ostensorio in oro zecchino e che nella canzone conversa con San Gennaro; quella delle litanie  con cui le “parenti” si rivolgono al Santo perché ripeta il miracolo dello scioglimento del sangue; l’ultima racconta, invece, con le parole e lo swing di Bennato, la rocambolesca storia del “re di Poggioreale”, boss del mercato nero, che nel 1947, riuscì a riportare a Napoli “l’oro di Napoli”, racchiuso in tre casse sigillate, che durante la seconda guerra mondiale erano state trasferite e celate presso lo Stato Pontificio. Una storia avventurosa che  ha ispirato  romanzi  come l’esilarante e irresistibile “Mi manda San Gennaro”, per la penna di Francesco Pinto.

C’è anche un altro pezzo di Napoli nella colonna sonora:  quella dell’orchestra Sanitansamble, composta da giovani musicisti del rione Sanità che eseguono un brano diretto dal maestro Paolo Acunzo. L’abate della Cappella monsignor De Gregorio esegue invece un altro brano suonando l’organo del Duomo di Napoli.  Popolo e chiesa. Città e Santo. Tutto si tiene. Perché  “a Napule, li fatte si fanno comme se fanno a Napule”. Così anche le audioguide. 

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