Come porti i capelli bella bionda - la Repubblica

2021-12-27 02:27:55 By : Mr. martin ku

In una celebre predica San Bernardino da Siena affermava che le donne “han più capi del Diavolo: e chi lo ha a trippa, chi a frittella, chi a grappoli, chi l’avviluppa in su, chi lo ha in giù, chi ha il capo a civetta, chi a balla, chi a merli o torri”. Evidentemente l’austero frate le doveva aver osservato bene le donne e le loro fantasiose acconciature, per poter fare un elenco di fogge cosi preciso. Si sa, le donne sono creature demoniache e i loro capelli (ma anche le donne in sé) hanno sempre dato fastidio. San Paolo esortava le neocristiane a non considerare gli ornamenti esteriori come “capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti”, ma a ornare invece la propria anima.

Le donne in realtà si sono sempre ingegnate a pettinarsi e sistemarsi in modo da sembrare più belle, più alte, più eleganti, più desiderabili. I capelli sono da sempre sinonimo di bellezza, caricati di valenze erotiche e di simbologie molto complesse, che vale la pena di ripercorrere. Ce lo ricorda un delizioso libro di Virtus Zallot (Sulle teste nel Medioevo. Storie ed immagini di capelli, Il Mulino, Bologna 2021), che sui capelli ha indagato in modo approfondito per ciò che riguarda il periodo medioevale. Un tempo in cui i capelli rossi incutevano diffidenza (nelle donne poteva essere segno di immoralità sessuale); quelli neri erano invece particolarmente ricercati, ma rari; quelli biondi appartenevano per principio a donne e uomini belli e buoni.

Le donne dedicavano, allora come oggi, parecchio tempo a pettinarsi. Indimenticabile la biondissima Semiramide che si ricompone le lunghe chiome con un magnifico pettine d’avorio negli affreschi del Castello della Manta (Cuneo): simbolo squisito del Medioevo cortese e di tutta l’eleganza di una civiltà raffinata.

Allora come oggi vi erano problemi di gestione dei capelli; se cadevano, ad esempio, era una punizione divina. Le donne si tingevano con ogni genere di intruglio, anche quelli pericolosi. Gli uomini, se di rango elevato, non volevano apparire vecchi e si impiastricciavano con improbabili manteche. Nel Trecento, alle donne si consigliava di pettinarsi con grazia: una bella pettinatura era indispensabile complemento di eleganza. In testa stavano bene nastri dorati, cerchi ingemmati, trecce con perle, ma a primavera era gradita anche una ghirlanda di rose fresche, che però richiedeva che sotto ci fosse una donna bionda e bella. Si voleva fare un dono ad una dama? Coroncine, ghirlande luccicanti, spilli e pettini d’avorio erano fra i doni più graditi.

Nel 1330 i fiorentini provarono con una legge talebana a togliere alle donne tutti gli ornamenti. Pia illusione, le donne la contestarono, sfuggirono alle imposizioni come anguille, se ne disinteressarono, continuando a decorarsi come prima e più di prima.

Contro la vanità femminile si scagliarono nei secoli preti, frati e molti economisti: oltre a perdere l’anima i mariti perdevano anche il patrimonio. Inutile protesta maschile, anche un po’ patetica: le donne disubbidirono sempre e sistematicamente a tutte le ridicole leggi suntuarie che tentavano di frenarle.  

La bellezza delle acconciature predisponeva secondo i predicatori sempre alla lussuria, peccato orribile e degno dell’inferno i capelli erano il “capestro” con cui il diavolo trascinava le donne fra le fiamme eterne. Una dama addirittura apparve al figlio, secondo il predicatore inglese Odo di Cheriton, per narragli gli orrendi supplizi con cui veniva castigata nell’aldilà per essersi troppo pettinata e curata in vita. Non servì a nulla. Mai, tentare di spaventare le donne su questo tema, ne fa fede tutta la storia dell’arte italiana ed europea, che è un succedersi di ritratti di donne con in testa le più stravaganti acconciature.

Nel Medioevo però, più che le donne furono gli uomini a cambiare spesso pettinatura e la barba ne aveva gran parte. I nobili e i re portavano chiome lunghe, anche lunghissime, che poi mutarono in caschetti corti: si arricciavano con il ferro e si mettevano in capo ghirlande come le dame. In seguito se li tagliarono corti in tondo e nel Quattrocento li riportarono lunghi. Petrarca ormai vecchio ricordava di essere stato un ragazzo vanitoso, preoccupato che il vento gli scompigliasse le chiome. La disapprovazione per i capelli maschili portati lunghi, inanellati, ha un’ampia casistica e ricorda non poco quella che accompagnò in Europa da parte dei benpensanti l’arrivo dei “capelloni” e dei Beatles negli anni Sessanta del Novecento.

Anche allora i capelli si drizzavano per la paura e rendevano ancor più brutti i brutti e cattivi. Alcuni si trascuravano, perché tristi e depressi, giravano scarmigliati e scapigliati, come gli eremiti ricoperti dai loro lunghissimi capelli e con la barba in sovrappiù. E poi i morti. Nei dipinti a partire dal Trecento compaiono corpi in decomposizione con i capelli caduti dal cranio svuotato: capelli un tempo tanto curati a discapito dell’anima ed ora destinati ai vermi. Solo i  corpi dei santi si conservavano intatti, capelli compresi.

 Ciocche e trecce si offrivano in dono agli uomini amati. Allora come oggi ci si prendeva per i capelli durante i litigi; quelli lunghi degli uomini erano comodi da afferrare in guerra per ucciderli: gli zazzeroni di Oloferne furono funzionali anche a Giuditta, acciuffati con forza per fargli fare la nota brutta fine.

Un tema sempre di attualità, dunque, anche nel presente  attraversato da movimenti come quello del “Free The Silver”, che vorrebbe combattere la schiavitù femminile del tingersi i capelli. Perché le donne lo devono fare e gli uomini vanno bene anche grigi o brizzolati? Gran dibattito davvero che non risolveremo.